SERATA TECNICA
LA SCENEGGIATURA NEL CINEMA PROFESSIONALE
di Giuliano CAPUTI
17 novembre 2016
Trascrizione non ottimizzata della conferenza
Giuliano CAPUTI:
Ciao allora vi hanno spaventato con questa biografia? Spero di no. Il problema è che uno lavora e deve pagare bollette. Vediamo come iniziare: io volevo fare una chiacchierata un po’ divertente, altrimenti diventa tutto noioso! Se comincio a parlare di cose troppo complicate non mi va! Preferisco di raccontarmi un po’, se siete d’accordo. Non con titoloni come avete fatto voi, ma è semplicemente per spiegare quello che deve essere non tanto l’aspetto lavorativo, quanto l’aspetto di amore per questo mestiere e soprattutto chi me l’ha dato. Questo si chiama passione e di solito viene pian pianino conoscendo gli altri. Nella nostra attività il lavoro è di gruppo e quando entri in contatto con determinate persone ti si aprono dei mondi che sono incredibili. Io mi ritengo Triestino al 100%, difatti il mio ritorno in patria, diciamo così, è stato motivato dal desiderio poter la mattina ammirare il mare, cosa che a Roma era un po’ complicato. A Roma per poter vedere il mare vedi Ostia, vedi Fregene, tutto c’è tranne il mare anche perché il mare di Fregene notoriamente è cancerogeno per cui è meglio evitarlo. Quando sono partito da qui ero molto giovane, avevo 16 anni ma volevo fare tutt’altro, anche se avevo già iniziato prima come attore, perché malauguratamente volevo fare l’attore ma ero un cane. Verso i 16 anni ho fatto il mio primo film ed ho conosciuto questo regista Salvatore Samperi che che era decisamente “pazzo”. Mi ha preso con lui subito e mi ha fatto girare praticamente tutto il film. Mi sono divertito come un pazzo. C’era anche una signora che lavorava nella produzione e mi ha detto “sei un bambino simpatico, vieni ti porto a Roma e facciamo tanta pubblicità”. E così ho fatto. Però era un bambino e quando ha cominciato a crescere ho cominciato anche capire che forse il lavoro dell’attore era meglio evitarlo perché non ero all’altezza della situazione. Poi mi sono rifugiato (tra virgolette) nella regia, però c’era sì questo amore ma ce n’era anche un altro che era quello del volo. Speravo di diventare un pilota Alitalia. Ho trascorso un periodo meraviglioso girando il mondo, ma sfortunatamente un incidente di macchina mi ha precluso questa strada. Mi hanno proposto di fare un lavoro a terra, ma ho rifiutato. Sono così tornato al mestiere nel cinema. Dopo la mia vita in alcune città sono tornato definitivamente a Roma perché sfortunatamente Trieste, meravigliosa, non offriva molto. Io facevo il teatro ma mi divertivo di più a stare davanti e poi dietro ad una macchina da presa. Ero affascinato anche da un certo tipo di televisione tanto che il sabato sera non lo passavo in giro con gli amici ma davanti alla televisione a guardarmi “Sabato sera” di Pippo Baudo.
Quindi quando a 27 anni mi chiamò Baudo per fare un programma insieme a lui, dissi “Oh, porco Giuda!”. E sono riuscito a fare “Sabato sera” con Pippo Baudo. Quindi grande gratificazione! Nel frattempo ovviamente per fare questo mestiere non basta dire “so fare questo” e te lo fanno fare, ma hai bisogno di studio per cui mi son dovuto laurerare alla Sapienza in discipline dello spettacolo e ho fatto una cosa che mi ha dato un enorme soddisfazione cioè quella di frequentare una scuola di sceneggiatura. Mi sono diplomato nel ’90 in questa scuola e lì ho fatto le mie prime vere, grosse, enormi conoscenze. Il mio direttore, cioè quello che dirigeva e che insegnava, era un signore che si chiamava Agenore Incrocci. Noi che scriviamo non siamo tanto noti perché non ci calcola nessuno, non andiamo in video e non parliamo, di conseguenza non ci riconosce nessuno per strada e oltretutto anche i nomi sono difficili da ricordare. Un altro insegnante è stato Scarpelli, e fu uno di quelli che inventarono e lanciarono la commedia all’italiana. Subito dopo la guerra hanno cominciato a scrivere perché erano autori comici (scrivevano per il Marco Aurelio) e poi uscivano quella rivista facevano l’avanspettacolo, poi furono chiamati da un signore che si chiamava Totò e con lui hanno fatto credo una cinquantina di film. Dai racconti che mi facevano era un personaggio incredibile perché loro avevano vita facile con lui, nel senso che scrivevano canovacci, poi si valutava se l’idea era fattibile, e il loro compito era quello di andare sul set la mattina e proporli delle idee sulla direttamente sulla scena. Lui stava lì un’oretta a chiacchierare, proprio a chiacchierare con loro per pensare più o meno come fare, poi arrivava il regista e gli attori. Si piazzava una telecamera, lui entrava e faceva 20 minuti, “buona la prima”. Dopo 20 minuti salutava tutti e andava a fare un altro film. Questo era Totò!
Infatti se voi rivedrete i film di Totò vi accorgerete che non c’erano grossi stacchi di inquadratura, ma era tutto fermo per prendere quello che lui da solo si era inventato. Un genio! Loro sono andati avanti coon lui fino agli ultimi anni della sua vita. Io ho continuato nel mio lavoro ed ho avuto la fortuna di conoscere dei grandi personaggi, ad esempio Monicelli. Ho avuto, diciamolo, un grandissimo c*** (perché si dice così) di conoscere queste persone con cui si poteva dialogare, nel senso che io li parlavo e loro mi rispondevano pure! Anche se il genere non era molto considerato, perché ovviamente essere il sceneggiatore di Totò all’epoca era considerato di serie C rispetto ai geni come De Sica, Rossellini che avevano creato il neorealismo. Per cui parliamo di premio Oscar! Però facevano prima i film della commedia all’italiana (che comunque poi a distanza di anni è stata rivalutata perché tutti i film di Monicelli tutti gli altri hanno colto il racconto dell’Italia di quell’epoca). Così stare a contatto con queste persone ti fa innamorare del cinema perché il loro metodo di lavoro era incredibile: non davano nulla per scontato, scrivevano creando ogni personaggio con una forza incredibile stavano lì giorni e giorni a riflettere su una singola battuta. Poi ho proseguito nel cammino e adesso riconosco che la scuola è stata valida. Abbiamo finito in 10 persone che oggi lavorano tutti quanti ad altissimo livello. Quindi era un laboratorio incredibile. All’inizio devi fare per forza la gavetta per un paio d’anni, non ti regala niente nessuno. Io ho fatto il negro, il che non vuol dire che mi dipingevo la mattina, ma scrivevo al posto di questi grandi; non firmi, ma sei felicissimo perché hai fatto le riunioni con questi “mostri sacri” e questo è incredibile. Ad esempio mi è capitato di scrivere film per Scola, ed ho imparato tantissimo. Quello che veramente ho appreso da questi personaggi è l’amore che ci mettono nel costruire un prodotto che può essere di qualsiasi genere. Però faccio un esempio: mi raccontavano che hanno fatto una serie di film che si chiamava “l’armata brancaleone”; non esisteva un linguaggio e quindi hanno dovuto inventarsene uno. Così hanno fatto dei film in una lingua che non esiste. Per realizzare ciò hanno lavorato insieme mesi. Ora purtroppo questo non esiste più, ed è cambiato tutto. All’epoca non esisteva la televisione, e poi molti di questi personaggi sono andati ad inventarla. Così quelli che erano autori di di avanspettacolo poi sono diventati autori di varietà in televisione. Il vecchio varietà che era ancora in Bianco e nero, e che io amo rivedere.
La cosa forte di questi personaggi è che si conoscevano tutti si frequentavano e si confrontavano, nel senso che c’è stato un continuo scambio di idee: una intuizione raccontata al bar la sera è diventata un film. Di fatto era una rete. E la cosa straordinaria è che non era una rete chiusa ma era aperta a tutti noi giovanissimi. Ci facevano entrare e ci facevano fare delle cose. Uno di questi è stato il grandissimo maestro Scola, che ha creato un’organizzazione per noi giovani. Parlavi con queste persone con una facilità incredibile e loro ti davano, ti davano, ti davano….
Ho voluto dilungarmi in questi racconti per introdurvi su quello che è l’argomento di stasera, ovvero la sceneggiatura.
Io lo so benissimo che è una grandissima rottura di palle scrivere per arrivare poi ad un prodotto; è più facile girare e poi montarlo e poi dedicarsi all’aspetto tecnico. Però se si scrive, magari due righe, se si capta in giro qualche consiglio, si aggiunge un particolare che mi viene in testa in quel momento, lo si trasforma in un canovaccio; io lo dico sempre (ohimè lo insegno da tanti anni) che non esistono regole di scrittura perché ognuno poi è un artista a modo suo; ad esempio se dici agli americani una cosa di questo genere ti fulminano, loro che sono molto precisi (la scena tale va da qui a lì), la scena va ponderata, scritta più volte, ci si confronta con gli altri.. Loro sono di una precisione impressionante. Questo è anche un bene, ma, in definitiva, è meglio adottare un proprio modo di scrivere e cercare un compromesso fra quello che è un sistema codificato con pignoleria e quello che desidero adottare io. Ci sono anche stati registi che sono riusciti a fare dei film in assenza totale di sceneggiatura.
E non si tratta di pazzi scatenati. Ad esempio Federico Fellini gli ultimi film che faceva non li scriveva. Lui faceva dei disegni, poi alla mattina andava sul set e diceva al direttore della fotografia più o meno cosa intendeva. Quindi prendeva gli attori e li faceva recitare. Ad esempio, se avete presente “la voce della luna”: lui ha preso Benigni ha preso Villaggio e per la conversazione li ha fatto dire dei numeri, ad esempio la conversazione era “57 32 45 12″. Così loro non sapevano nulla di quello che stavano facendo. Io quell’anno ho avuto la fortuna che ho girato film con con Maurizio Ponzi; era il film “volevo i pantaloni” di Lara Cardella e ci troviamo nella stessa sala di montaggio a Via Margutta insieme a Federico Fellini. Così per tre mesi andavo a rubare idee a questo signore simpaticissimo, tranquillissimo, dalla squisita disponibilità; arrivava la mattina e saluta tutti, spesso era al bar. In tutta questa sua frenesia arrivava al montaggio dove praticamente c’erano immagini una di qua, una di là, con questi attori che hanno recitato a numeri: lui al montaggio è riuscito a realizzare un film nel quale al doppiaggio venivano gli attori e lui solo a quel punto dava le battute, solo quel punto diceva dell’attore “tu in questa punto devi dire vado a Montecarlo”. Nessuno aveva assolutamente idea, mentre lui le idee le aveva ben chiare.
Questo naturalmente è un estremo.
Nella normalità, invece e in effetti, esiste un metodo riconosciuto a livello mondiale, e tutti noi lo usiamo.
Io vi consiglio la lettura del testo “Story. Contenuti, struttura, stile, principi per la sceneggiatura e per l’arte di scrivere storie” di Robert McKEE, che è un americano che ha scritto questo manuale per scrivere un film dove spiega esattamente come lavorano gli sceneggiatori americani. Io ho seguito un suo corso e mi sono anche appassionato anche se non come con i miei maestri italiani: lui arrivava e si metteva lì per 8 ore di fila; ti raccontava che in una sceneggiatura al terzo minuto deve succedere questo, quindi dopo un minuto deve succedere quello; al 12° quell’altro e vai avanti così… Vi siete accorti che i film americani sono tutti uguali?
E’ proprio una tecnica che però loro adoperano e funziona perché sanno benissimo quale è l’andamento dell’attenzione del pubblico e non sbagliano mai: tu sai che ti sta per accadere quella cosa perché nella scaletta degli accadimenti loro l’hanno prevista, però poi sono dei geni anche loro, per cui quella cosa è talmente spettacolare o talmente insolita che ti lascia di stucco. Però lo svolgimento del film è rigidissimo e loro non vanno oltre quella quella linea.
Anche perché in America sono ormai arrivati a un livello di produzione tale che i film devono fruttare del denaro. Se un film costa anche 100 milioni di dollari e se fai un investimento di quel genere non troverai nessuno che ti dirà “fai quello che ti pare”. Però poi sono film che vengono distribuiti nel mondo ed incassano miliardi. Noi non arriveremo mai a questo livello. Perché non abbiamo i soldi che hanno loro. Un buon film italiano ti costa due milioni, e ti mette a disposizione un cast di buoni attori e un numero di settimane di riprese decenti. Poi Paolo vi racconterà delle sue esperienze cinematografiche e di come il numero dei giorni di ripresa valga per il tipo di produzione. Una volta si girava un film in quattro mesi, ora ci siamo ridotti a settimane. Certe produzioni cominciano a ridurre anche di più i tempi perché è un problema di costi: non abbiamo i soldi per cui di conseguenza va tutto ridimensionato. Quindi diciamo che i film italiani fanno schifo. Non fanno schifo, sono anche buoni. Io penso che è tanta produzione italiana non sia da buttar via, assolutamente. Se certi registi avessero i mezzi che hanno questi americani io credo che verrebbero fuori dei capolavori meglio di quelli che fanno loro.
Torniamo al discorso di chi scrive, perché è il primo passo di un lavoro e di realizzazione di un film. Ad un certo punto ad uno viene in mente un’idea su qualcosa che vuole girare. Deve presentarlo ad un produttore, ma per solito prima del produttore lo si presenta ad altri amici che scrivono… Interrompiamoci un attimo: perché i film si scrivono in tanti? Ci sono delle regole nel mondo dello spettacolo, anche se ovviamente uno può scrivere un film da solo, produrselo, girarselo (Woody Allen fa così, anche se non so come faccia perché produce due film all’anno). Il film è fatto di collaborazioni, a differenza, ad esempio, dei romanzi dove si scrive da soli per entrare in una certa atmosfera e tradurla in testo. Nei film i personaggi si muovono in uno spazio, per cui più persone intervengono sulla sceneggiatura, meglio è. Oltretutto questo confronto è divertente e importante. Si litiga tantissimo perché è inevitabile, perché è ovvio che ognuno vuole avere sempre ragione sull’altro, perché le delle tue stesse idee creative ti innamori ma nel corso degli anni ho imparato che anche se sono convinto di quello che faccio però se vedo da parte degli altri il mutismo forse l’idea non è poi tanto buona.
Quanto bisogna scrivere? C’è chi ha detto che un film va descritto sul retro di un pacchetto di fiammiferi! Certo è esagerato, (ed erano altri tempi), ma il concetto è valido: servono poche parole per descrivere un film! Questo si chiama SOGGETTO.
In questo soggetto bisogna acchiappare l’attenzione di chi dovrà produrre il film.
Il soggetto non segue una regola di scrittura, è libero: è solo l’essenza di quello che uno vuole raccontare… E’ una cosa normalmente fatta con stile personale.
Il lavoro che si fa tutti insieme, invece, è successivo ed è un lavoro di ampliamento. Ovvero, da un’idea base cerchiamo di mettere in piedi una struttura che permetta di coprire l’ora e mezza o le due ore che normalmente dura un film.
Quindi al soggetto, grazie all’apporto di tutti, si andrà a mettere tantissima roba. Ognuno porta, porta, porta, porta, poi quando ci sarà tantissima roba si comincerà a togliere perché il vero segreto per far funzionare una cosa (come ho imparato dai registi che dicono sempre “meno, meno, taglia”) è nella sintesi sia della scrittura che della recitazione. Dopo vi spiegherò bene cosa sto parlando.
Successivamente tutto questo materiale messo dentro in questo questo contenitore e verrà poi tradotto in una forma di scrittura (non siamo ancora arrivati alla sceneggiatura) che viene chiamata TRATTAMENTO. Il trattamento non è nient’altro che il film scritto in forma di racconto lungo, di romanzo, chiamatelo come vi pare. Ne esce un bel tomo di 80-100 pagine dove viene descritto minuziosamente tutto il film. Questo perché rispetto alla sceneggiatura (che è il terzo passo, quello quasi definitivo del lavoro di sceneggiatore) nel trattamento puoi inserire quelle cose che nel film non si vedranno ma si sentiranno, nel senso che in un romanzo io ti descrivo lo stato d’animo di un personaggio che poi dovrò mostrare per immagini. Così arrivo a sapere il numero di scarpe del protagonista, i suoi tic, le sue nevrosi, quante volte va a giocare ai cavalli durante la settimana, perché? Perché c’è sempre un motivo, perché sono tutte cose che poi ritornano e quando vai in fase di sceneggiatura sei fortunatissimo se prima hai realizzato il trattamento; visto che tutte le cose che ti tornano utili anche nel linguaggio di quelle singolo personaggio perché poi ovviamente prestare molta attenzione quando si inventano i personaggi, ma lì è un lavoro a parte che si va a fare… nel senso che ogni personaggio deve vivere, muoversi da solo. Lo sceneggiatore, quando arriva scrivere le battute, gli verranno in automatico perché saprà che il protagonista parla in quel modo, la sua moglie in un altro modo, il figlio disgraziato che è che la rovina della famiglia parlerà in un altro modo e qua si incrociano i dialoghi e comincia a diventare SCENEGGIATURA. Questo lo puoi fare se hai una base, cioè con il trattamento tu vai dal produttore, anzi dai produttori, e dopo 99 “no” finalmente al 100° arriva un “sì”. Alle volte fai il giro, e magari ritorni dal primo perché ha avuto il sentore che lo stia comperando il centesimo, e vuole soffiargli il lavoro…
Quando il produttore lo ha comprato, e quindi ti ha dato i primi soldini (e tu sei contento perché paghi tutte le bollette arretrate) a quel punto si entra nella fase della sceneggiatura, lì cominci lavoro tecnico vero e proprio. C’è la suddivisione delle scene, la scrittura dei dialoghi (fondamentale) e tutte le informazioni tecniche che serviranno poi quando si sarà sul set. Lo sceneggiatore deve dare più strumenti possibili al regista, e deve mettersi in testa che quel copione che lui scrive andrà in mano a tutti! Verà dato in mano allo scenografo, alla costumista, al truccatore, insomma a tutti i vari reparti. Così quello che è scritto là diviene fondamentale. Ad esempio quando scrive deve pensare che deve anche a dire allo scenografo “guarda che mi serve assolutamente quel tipo di scrivania fatta così perché poi su quella scrivania scopriremo quell’oggetto che ci servirà poi per individuare chi è il colpevole” (che di solito sempre il maggiordomo, scherzo, non sempre è così). Magari devi rivolgerti alla costumista perché è un film in costume, e ti fai prima tu lo studio su come si vestivano in quel periodo, quindi per portare avanti la storia magari ti serve che quel giorno quel personaggio sia vestito così, ma lo devi scrivere perché c’è la professionalità e la loro creatività da parte di tutti i personaggi, però devono essere indirizzati, altrimenti ognuno per i fatti suoi e se ognuno pensa con la propria testa sarà poi per il regista complicatissimo metterli tutti insieme. Ovviamente il lavoro di scrittura della sceneggiatura al 98% dei casi va fatta con il regista che a questo punto interviene non sulla scrittura ma sulla sua idea di insieme. E allora nel confronto che ha con lo scrittore comincerà a dire “sì però io quel personaggio lo voglio in quel modo” e quindi cominceremo a segnarci tutte queste cose. Il concetto del film fra lo scrittore e il regista è totalmente diverso: lo scrittore è più concettuale e più drammaturgico, in certi modi vado più sul pensiero della battuta, mentre il regista è più pratico. In quanto deve realizzare il film! Io capisco che alle volte è bello mettere insieme 300 elefanti, ma non sempre si può fare! Dopo mesi di lavoro (perché per scrivere una sceneggiatura per un film ci vuole un po’ di tempo), uno arriva alla prima versione e alla parola “fine”. A proposito: ricordatevi di mettere sempre la dicitura “prima versione” perché si sa già che poi ci saranno vari passaggi di questa versione. Andrà in mano al produttore che per forza di cose dovrà dirti “questo io non ci arrivo con i soldi”, e così ci saranno varie versioni. Nella sceneggiatura può succedere anche che le battute siano scritte per un determinato attore, magari quello manca perché impegnato in un altro film, e allora hanno dovuto prendere un altro, e riscrivi le battute in funzione di quello nuovo. Insomma è un lavoro di rifacimento continuo. E’ chiaro che se scrivi per Gassman dopo non puoi riproporre lo stesso personaggio a Sordi, e allora devi fare un ulteriore revisione.
Questo lavoro di riscrittura non ha mai fine. Anche una volta che il regista ha detto allo sceneggiatore “grazie, non ho più bisogno di te” ci saranno, sul set, anche lì, bisogni di ritocchi.
Quindi sul set, dove non sempre tutto scorre come previsto – e lo sapete bene anche voi – il regista si può improvvisare sceneggiatore e cambiare qualche battuta o addirittura qualche situazione. Alle volte ci sono problemi tecnici (un oggetto non trovato, un guasto). Altre volte le battute non sono adatte all’attore, nel senso che proprio non riesce a dirla correttamente. Allora o gliela cambi o insisti per una settimana…
Quindi capite che quella che ho chiamato prima “Bibbia” in realtà non viene rispettata e come conseguenza arriveremo poi alla decisione di dichiarare chiuso il film (ma non sarà manco chiuso dopo le riprese perché poi ci sarà il montaggio nel montaggio di potevano essere anche dei ripensamenti). Quindi capite che il cammino fra l’idea scritta sul pacchetto dei fiammiferi e la prima proiezione c’è un cammino incredibilmente affascinante.
Le tecniche di sceneggiatura sono tantissime e stasera non le affrontiamo perché è impossibile, ma ci sono dei consigli che posso dare. Se ho da fare una sceneggiatura di un film (proprio un film, non parlo di documentario) il lavoro maggiore va fatto proprio sui personaggi. Per mia esperienza personale è quello che faccio io di solito, poi tutto questo che sto raccontando l’ho trasferito in televisione perché la televisione è un altra forma di comunicazione rispetto al cinema, però le tecniche di scrittura sono le medesime: anche lì avrai degli attori, avrai dei personaggi che si muovono sul palco – però non pensate che in televisione (parlo di varietà) sia tutto inventato lì per lì. E’ tutto scritto e tutto previsto. Il lavoro di televisione è massacrante perché in un film c’è il tempo per produrre la sceneggiatura e girare, mentre in televisione si va in onda ogni settimana e di conseguenza ogni settimana bisogna scrivere una sceneggiatura e realizzare il prodotto.
Torniamo ai personaggi, anche perché potrebbe tornarvi utile per i lavori che fate voi…
E’ importante, magari di fronte ad una storia incredibile, aver costruito dei personaggi forti. Così qualcosa di buono viene fuori. Tenete presente che i personaggi devono essere in conflitto. Essere in conflitto non vuole dire farli litigare, ma vuol dire che se prendi i due personaggi e li metti per mezz’ora dirti “quanto sei bello, quanto sei buono, quanto sei caro, quanto ti voglio bene” sicuramente il film sarà una ca****. Il conflitto è dunque un elemento importantissimo, se esiste un problema questo sarà l’elemento trainante di tutto il film.
Creare questi conflitti è importante, ma naturalmente è difficile perché deriva da idee, e queste non vengono sempre.
L’esperienza ovviamente conta nel senso che l’esperienza ti permette di sfruttare un tuo passato per cui di conseguenza sai che se una cosa ti funziona rispetto ad un’altra hai già un po’ di cose da mettere dentro. Però le idee bisogna averle. Io, ad esempio, ho la fortuna di essere molto curioso.
Leggo molto, e di tutto, compreso il web. Quindi mi informo e scopro nel mondo cosa succede. C’erano personaggi che alla mattina proprio facevano una vera e propria rassegna stampa di tutti i quotidiani per andare a rubare dalla realtà. Spesso prendevano ritagli dal giornale, ora anche da internet, e archiviamo perché non si sa mai che le note poi tornino utili, ma se non mi ricordo quella cosa…. E’ un lavoro fatto con passione ma diventa anche divertimento perché non ti devi mai fermare ma devi sempre andare avanti, sempre ricercare quello che ti piace di più. Magari non è necessario andare nella vastità di di quello che accade nel mondo quotidianamente però, ripeto, la curiosità aiuta la creatività. Se uno se ne sbatte le pa*** e va avanti per la tua strada credo che farà fatica a creare personaggi. I personaggi bisogna crearseli e bisogna affezionarsi, tanto da convivere con loro, parlarci, confrontarsi!
Questi personaggi esistono e si creano anche con tabelle (gli americani sono bravissimi in questo). Ad esempio nella scheda ci sono 10 parole per descrivere, 10 pagine, 10 domande “di che partito politico” e “quante volte sc*** con sua moglie”, insomma tutto, tutto, tutto, devi sapere tutto di lui e solo così nasce un personaggio. E’ un lavorone, lo so. Il lavoro di tutti diventa incredibilmente pesante e faticoso perché poi il povero attore arriva davanti ad un regista che ha delle continue pretese su di lui. L’attore deve mettercela tutta perché dopo la fatica che ho il sceneggiatore ha fatto per scrivere il film che deve darsi da fare perché deve venire fuori tutto e quindi l’attore si trasforma e noi più lui ma diventa il personaggio.
L’attore fa un lavoro molto pesante. Quando si presenta sul set spesso chiede “cosa devo fare”…. Devi fare quello che c’è scritto sulla sceneggiatura (altrimenti cosa servono gli sceneggiatori?). Però Ricordiamo che l’attore deve immedesimarsi nella parte, magari per tre mesi per 4 mesi non è più lui è un’altra cosa. Sempre queste persone qui si alzano tutte le mattine alle 4 4 1/2 perché devono andare al trucco entro le 6, perché il primo ciak lo danno alle 8 di mattina. Di conseguenza sei sempre sotto stress. Qualcuno insinua che si droghino o bevano per aiutarsi a tenere i ritmi, ma se tu ti droghi e bevi non fai tutta la questa vita tutti i giorni, né aiuta a creare i personaggi. Nella realtà a questi livelli sono dei grandissimi professionisti. Io insisto tantissimo sul discorso dei personaggi quando vado a fare un film, la creazione dei personaggi è la parte preponderante del lavoro di sceneggiatore.
C’è anche un altro aspetto molto importante, ed è quello che ti permette di dare qualche cosa in più alla sceneggiatura, io la definisco la CREDIBILITÀ che significa semplicemente la coerenza che devi dare in tutto il lavoro che fai, devi sempre essere sicuro di quello che stai facendo, devi stare sempre all’erta su quello che stai facendo per dare uniformità a tutta la tua opera. E’ complicato nel senso che ti viene spontaneo dire perché un giorno mi alzo in un modo, un giorno in un altro, ma devo agire in maniera regolare. Non è che se un giorno sono allegro posso scrivere battute, se poi magari devo scrivere cose tristi e sono allegro come faccio? Quindi essere sempre coerenti in quello che si scrive, enon perdersi mai in quello che uno fa.
Questo vale anche per il regista, che non può un giorno fare inqudrature di qua e di là e il giorno dopo inquadrature fisse!
Queste è in generale il discorso sulla sceneggiatura e sul lavoro dello sceneggiatore. Non entro qui nello specifico, perché sarebbe molto lungo. Io ho passato due anni a studiare. Lì ho conosciuto il sceneggiatore di Visconti…. Spiegava in maniera pesante, ma alla fine ne abbiamo tratto insegnamento, e lo abbiamo anche trovato simpatico. Dopo due anni in cui andavo a lezione ogni giorno (e per otto ore più i compiti a casa) sono uscito e mi sono detto. “Non ho capito niente!”.
Però era il momento in cui gli insegnanti ti dicevano: vai. E per fortuna, in effetti, avevo capito qualche cosa.
Poi ho scritto moltissimo.
Io mi fermo qua però se avete domande fatele subito; se avete voglia e tempo ancora un po’ volevo fare un piccolo esercizio tra di noi per capire, se possibile, la differenza che esiste tra tra quello che uno ha in testa quando vuole realizzare una cosa è quello si dovrebbe scrivere cioè la differenza testo e SOTTO TESTO (il sotto testo è tutto quello che vi passa in testa mentre scrivete e che vorreste raccontare). E’ una delle fasi del trattamento. Scrivi e descrivi, descrivi.
Nella realtà il sotto testo potrebbe essere raccontato nel seguente modo: “ho litigato con la mia fidanzata o con mia moglie, ci siamo lasciati e la sera sto davanti allo specchio perché il giorno dopo la rivedrò e dovrò dire le mie cose, quindi passo 2 ore davanti allo specchio a costruirmi il discorso che dovrò fare e che dura un monologo eterno di parole parole parole parole che poi il giorno dopo nella sintesi estrema va detto in una battuta d’effetto.” Che, con la moglie, è sempre quella. “Hai ragione tu!”.
DISCUSSIONE
E’ seguita una discussione e alcune domande da parte del pubblico.
In particolare si è parlato delle difficoltà realizzative, della differenza fra la realtà e la finzione cinematografica. CAPUTI ha anche detto che sarebbe interessante e stimolante tentare qualche piccola collaborazione che il mondo amatoriale potrebbe offrire al mondo professionale, nel senso che il primo ne trarrebbe grande beneficio per l’apporto di esperienza che ne deriverebbe, mentre il secondo potrebbe godere di qualche spunto.
Come già detto da uno scambio di idee possono generarsi altre idee.
Nel corso della discussione è stato anche detto che radiodrammi (e in genere la sceneggiatura per il mondo radiofonico) è ovviamente molto differente da quello del cinema, in quanto manca il contributo delle immagini e quindi il sceneggiatore deve descrivere la scena e il più delle volte deve mettere in bocca ai protagonisti le parole adatte per farlo.
E’ stato anche citato un esempio relativamente al documentario. In quel genere di racconto, che prevede di riportare cose che si sono viste, bisogna cercare di bilanciare le immagini con le parole: magari delle bellissime fotografie non dicono nulla se non sono accompagnate da un adeguato commento.
Si è anche parlato delle necessità di usare la sintesi quando si scrive una sceneggiatura. Un discorso “lungo” diviene alla fine noioso, e, nel cinema, va riassunto in una battuta (ben pesata). Addirittura si arriva a dire che le battute più lunghe di due righe sono sbagliate!
Segue una presentazione dell’attore Paolo MASSARIA, che interviene per spiegare cosa vuol dire lavorare con un regista e una sceneggiatura da rispettare:
Ad esempio ho lavorato con Federico e Andrea Penso, con loro abbiamo fatto dei dei cortometraggi ma stato facile perché avevano delle esigenze particolari però sapevano cosa volevano quindi calarsi nel personaggio è stato relativamente facile. Loro, per solito, ti spiegano come deviagire, ti danno il copione e INSIEME si costruisce la scena. Alle volte ci sono delle visioni differenti, ma si riesce a combinare i vari punti di vista per ottenere un risultato apprezzabile. Ora non voglio scendere troppo sul piano tecnico.
E poi siamo alle solite cose già dette, ci sono dei grandi registi che lavorano con un organizzazione invidiabile, ma si tratta soprattutto di avere a disposizione questa organizzazione. Magari anche fra registi meno famosi si nascondono dei talenti molto validi che non possono godere di una dovizia di mezzi tale da farli esprimere al meglio. La avessero, ne sono sicuro, farebbero grandi cose.
Durante la lavorazione talvolta si risente di questa mancanza di mezzi. Comunque è importante concentrarsi non tanto sulle battute, che più o meno sono note, ma sul personaggio.
Ecco forse la maggiore difficoltà: un attore deve sentirsi ed immedesimarsi nel personaggio durante tutta la durata della lavorazione, e non solo mentre si girano le singole scene.
Certo la presenza di un sceneggiatore è importante perché aiuta moltissimo con i suoi consigli.
In particolare nel mio caso, perché non ho studiato recitazione ma mi esprimo grazie ad un talento forse ereditato dalla mamma napoletana…
Non è detto che vi sia una relazione fra numero di pagine del copione e difficoltà interpretativa, dipende dal contesto….
Nel mio caso ho cominciato con il teatro. Tutto qua; la mia esperienza dura 5 anni.
Segue un racconto sui suoi prossimi (ed immediati) impegni: interpreterà un archeologo, simulerà un rapimento di alieni, ci sarà (finalmente) l’incontro con la figlia, eccetera. A proposito: è bene conoscere gli attori con cui si reciterà. Quindi io passo qualche tempo con loro prima di cominciare a lavorare.
Ricordatevi anche che sul set ci si stanca moltissimo, perché si è coinvolti emotivamente e questo porta a fatica fisica e mentale.